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mercredi 30 mai 2018

DARE UN NUOVO SENSO ALL’IDEA TRINITARIA DI DIO



(Rifessione sulla festa della Trinità - 2018)

Il dogma della Trinità di Dio è stato definito, proclato dal Concilio di Nicea e imposto obligatoriamente a tutta la cristianità da un editto dell’Imperatore Costantino (325).
In questa riflessione prescinderò dalle  situazioni  e dalle condizioni  storico-politiche  della convocazione  e dello svolgimento di questo Concilio sul quale ci sarebbe enormemente   da dire e da  ridire quanto  alla rappresentatività  dei partecipanti, alla  libertà  e alla trasparenza  dei dibattiti,  alla obiettività e all’onestà delle conclusioni . Mi limiterò qui ad alcune considerazioni di carattere teologico, antropologico e cristiano.
La  festa della Trinità, che  conclude il  periodo  liturgico degli avvenimenti  pasquali,  sembra essere messa lì apposta per invitare i cristiani a riflettere sul mistero di Dio che deve ormai sostenere il loro vivere quotidiano. La Chiesa però non propone qui un Dio nuovo, sorprendente, che deve essere continuamente cercato e scoperto, ma un Dio senza  sorprese, già bello e fatto, tutto bello preparato da esperti teo-logi  che sono riusciti a impadronirsene e , non si sa come, a  entrargli dentro,  a studiare e analizzare minuziosamente la sua composizione interna, così da riuscire a capire e a descrivere per filo e per segno come Dio è fatto, come funziona e a consegnarcelo alla fine    tutto bello confezionato, con l’aggiunta di istruzioni per l’uso ed il  consumo.
Aprendo e analizzando il  contenuto di questo pacchetto  dogmatico confezionato a Nicea , si può constatare  che il Dio cristiano, scoperto dai teologi di questo concilio,  non è affatto il Dio  unico e personale dell’Antico Testamento o  della  religione ebraica, ma una «struttura divina»   composta di tre divinità, che si comportano comme delle persone uguali e distinte, unite in relazioni indissolubili nell’unica sostanza o essenza divina. Si scopre che Gesù di Nazaret è una di queste persone divine, inviata sulla terra con una natura umana per redimere l’umanità ; che l’uomo Gesù è però sempre rimasto Dio, incarnazione di Dio, Dio da Dio, generato e non creato, della stessa sostanza di Dio e unito a Dio  “senza confusione”, “ senza cambiamenti”, ”senza divisione” e “senza separazione”,  come dirà poi il Concilio di Calcedonia (451) .

La Chiesa è convinta che quanto in questi concili è stato detto e proclamato su Dio, corrisponde veramente alla realtà dell’Essere divino. È convinta cioè che esiste una perfetta corrispondenza tra le descrizioni della natura di Dio immaginata dai  suoi teologi  e ciò che Dio è  effettivamente e realmente in sè stesso .

La religione cristiana è dunque fondata sulla certezza e sulla convinzione che, per quanto riguarda Dio, esiste una perfetta adeguatezza  fra le idee, i concetti e le immagini contenute nei cervelli dei padri conciliari e la  realtà obiettiva della sua  natura. È interessante  però notare che la  Chiesa, la quale fino ad oggi ha imposto ai cristiani la fede nella concezione trinitaria di Dio definita a Nicea, non è mai riuscita a spiegare loro su quali basi e su quali argomenti essa fonda questa perfetta corrispondenza o adeguatezza .

Oggi, noi moderni, non possiamo che  stupirci davanti alla  presunzione di una Istituzione religiosa  che crede di  possedere la formula autentica, immutabile e perenne della composizione  e della definizione del Mistero Assoluto e Insondabile che è  Dio . Questa convinzione spiega perchè   la Chiesa continui ad esigere dai suoi fedeli una adesione incondizionata e cieca  al dogma   trinitario. Essa  agisce  come se pensasse che l’umanità dovrebbe  essere eternanamente  riconoscente  verso i  padri  di Nicea che sono riusciti  a risolvere, una volta per sempre,  il mistero di Dio.  Grazie a loro,  Dio  non sarà più un mistero per nessuno  e certamente non per i cristiani cattolici . Ormai non ci sarà più bisogno di cercare Dio. Dio è già stato trovato e, per di più, vivisezionato. La conoscenza del mistero di Dio è ormai disponibile per tutti, alla portata di tutti, ventilata nei decreti imperiali (dogmi) elaborati dai concili del quarto secolo.

Malgrado l’ostinazione con la quale la religione cristiana continua a fare  del dogma trinitario  il  perno ed la condizione dell’ortodossia , è un fatto che questo antico modo di pensare e di spiegare la natura di Dio e di Gesù di Nazaret non fa più senso per noi moderni. I cristiani del nostro tempo vogliono  avere la libertà di dire Dio e di parlare di Gesù in una lingua che capiscono e usando  idee, concetti, immagini e un vocabolario che corrispondano e che riflettano la loro sensibilità , le loro conoscenze e la loro cultura.

 Oggi la riflessione umana è giunta alla conclusione che ognuno ha il diritto di farsi l’idea di Dio che più gli conviene e lo soddisfa. E questo perchè il Mistero Assoluto, che noi chiamiamo “Dio”, è per definizione  ciò di cui nessuno  sa assolutamente nulla e del quale nessuno può affermare nulla con certezza. Infatti , tutto quello che si può dire, pensare o immaginare di Dio, è sempre e soltanto  rutto della supposizione , della disquisizione e dell’immaginazione umane; frutto dunque che non può essere nè confermato nè contradetto da nessuno, perchè nessuno possiede nè prove , nè argomenti, nè ragioni valide per poterlo fare. Nessuno può dire ad un altro:” Il  tuo ritratto di Dio è tutto sbagliato, non corrisponde alla verità ;  mente il mio è esatto e preciso,  come una fotografia ». Un discorso di questo genere è totalmente insensato,  perchè nessuno ha mai visto Dio e nessuno sa quali siano i veri tratti del suo volto. Finalmente aveva ragione la mia anziana zia che, ricca di una  saggezza semplice e  profonda, soleva calmare i miei ardori di saccente e giovane teologo, dicendomi :«  Sai, Bruno, Dio è come il diavolo: ognuno se lo dipinge come gli pare e piace! ».

 Oggi tutti sanno che nell’Universo non esiste nulla di inalterabile, fisso, immutabile  e   definitivo. Niente dura per sempre.  Nemmeno l’idea e l’immagine che una civiltà, una epoca storica,  una cultura, una religione  si fanno di Dio. Affermare  il contrario, come sembrano farlo  la religione  per i suoi dogmi e le sue “verità eterne”, è pura assurdità. È dunque normale che le idee, le mentalità, le conoscenze evolvano, cambino, si trasformino con il passare del tempo, con il progresso delle scienze, delle conoscenze e le nuove scoperte del mondo nel quale viviamo .

E poichè è un fatto assodato che da sempre il concetto   e l’immagine di Dio dipendono  dal concetto e  dall’immagine che l’uomo  si fa  dell’Universo,  è dunqe normale  che anche  l’idea e  la rappresentazione di Dio cambino con il progresso delle conoscenze e l’evoluzione della comprensione che l’uomo ha del cosmo  nel quale vive. 

Per usare un termine erudito, oggi  gli antropologi  dicono che i nostri “paradigmi” cognitivi , ( il modo con cui  capiamo, interpretiamo ,  spieghiamo e ci mettiano in relazione con la Realtà, cioè  l’Universo, l’uomo e Dio ) cambiano in continuazione secondo le epoche storiche. Ne consegue  che oggi, come non si può più immaginare , spiegare, parlare dell’Universo come lo facevano i nostri  antenati di  500, 1000, 2000 anni fa, così non si può  più pensare,  immaginare e parlare di Dio come lo si faceva nel passato: i «paradigmi» sono cambiati.

Questo detto, sarà bene anche tener presente che rifiutare le immagini e le idee su Dio elaborate dalle culture antiche e spesso ancora proposte ed imposte dalle religioni attuali , non significa  essere atei (nel senso cioè  di  non credere all’esistenza del Mistero Supremo ed Ultimo del Cosmo a cui si è dato  tradizionalmente il nome di “Dio”) . Oggi molta gente che si dichiara atea, spesso lo è soltanto culturalmente, «religiosamente» , ma non veramente. Molti  “atei” moderni (specialmente le giovani generazioni) non rigettano l’idea di Dio, ma unicamente l’idea o la rappresentazione puerile, fantasiosa, mitica e antropomorfica di Dio elaborata ed imposta dalla religione, e alla quale sono incapaci di dare il loro assenso . E chi potrebbe biasimarli !

 I cristiani che oggi non riescono più ad accettare l’arcaica e superata descrizione di Dio contenuta nel dogma della Trinità,  non sono da trattare come fossero degli  eretici o dei  miscredenti, come le autorità ecclesiastiche sono purtoppo incline a farlo. Devono piuttosto essere trattati  con rispetto, ammirazione ed essere considerati come cristiani autentici e forse migliori  degli altri, dato che si preoccupano di rendere accettabile e attraente alla loro mente ed amabile e caro  al loro cuore il mistero di Dio nel quale vogliono continuare a credere.

 La festa cristiana della Trinità dunque ,  se la vogliano mantenere, la dobbiano reinterpretare , la dobbiamo convertire,  darle  un nuovo volto, un nuovo contenuto, in armonia con la nostra  ultura ,  la nostra mentalità, la nostra sensibilità e le nostre nuove conoscenze del mondo. Adattata , questa festa può forse dirci ancora  ualcosa sul Dio di Gesù, di cui parlano i Vangeli. Un Dio  che in questo dogma trinitario è immaginato  ome un fantastico vortice di relazioni amorose che si attirano e si vincolano reciprocamente, in modo tale che da esso tutto il creato prende forma e sussistenza.

Rivisitata in chiave moderna , questa festa, anche se consunta dall’uso e da una forma scaduta di fede, è ancora capace di annunciare qualche cosa di bello e di buono ai cristiani del nostro tempo. Essa può dire loro che il Mistero Ultimo, che la religione cristiana identifica con il Dio-Trinità,  è   un Mistero d’amore, d’incanto, d’attrazioni e di relazioni che contengono le dinamiche che  presiedono allo sviluppo,  all’evoluzione e alla riuscita della vita in noi,  sul nostro pianeta e in tutto l’Universo.

Se il nostro mondo si salverà o perirà, dipenderà in gran parte  se noi  uomini riusciremo o no a dare alle nostre relazioni (con gli altri uomini, con il medio ambiente e con il Cosmo)  le  caratteristiche delle relazioni amorose che gli uomini hanno immaginato esistere in seno alla vita (trinitaria) di Dio.



Bruno Mori -    Montréal -  maggio 2018



samedi 19 mai 2018

Quelques réflexions sur le récit de l'Ascension


(Act.1,1-11 – Luc. 24, 50-52 – Mc. 16,19)


Le récit de l’ascension est une construction de l’évangéliste Luc qui, comme il a voulu illustrer d’une façon particulièrement solennelle l’entrée de Jésus en ce monde en l’entourant d’événements merveilleux d’anges, de chœurs célestes, d’astres qui s’allument et qui bougent soudainement dans le ciel, de mages mystérieux qui se prosternent devant le nouveau-né, il a voulu aussi présenter d’une façon spécialement triomphale (surtout dans le récit qu’il en fait dans les Actes des Apôtres) sa sortie de ce monde, en  s’inspirant des récits d’ascension au ciel avec lesquels les écrivains de son temps avaient illustré et célébré le départ de ce monde de certains grands personnages de l’histoire ancienne (Romulus, Héraclès, Empédocle, Alexandre le Grand, Apollonius de Tana, Hénoch, Elie…).

Ce récit n’est donc pas à prendre comme un fait réel et historique, mais uniquement comme un conte symbolique, composé par les évangélistes dans un but catéchétique : instruire les chrétiens que Jésus, malgré sa mort, continue à être présent par son esprit dans la vie et la communauté de ses disciples qui, sont appelés à en continuer l’œuvre. Ce mythe, avec sa mise en scène fantastique, au cours de laquelle Jésus donne ses ultimes consignes aux disciples avant de disparaître dans les hauteurs du ciel, cherche à impressionner les chrétiens en leur présentant un Jésus qui, revêtu du pouvoir et de la gloire de Dieu et vivant plus que jamais, est devenu désormais l’inspirateur, le souffle, l’âme, la lumière, le guide, le chemin et la vie de ceux et celles qui croient en lui.

Nous, les chrétiens critiques et éclairés des temps modernes, ne devons donc pas écarter tout de suite ce conte comme étant insignifiant, mais chercher plutôt à rentrer dans sa symbolique surannée pour essayer de découvrir quel message il pourrait bien contenir qui soit valable pour nous aujourd’hui. [i]

Je pense que récit bizarre pourrait, par exemple, nous faire réaliser, nous les gens terre à terre du positivisme, du matérialisme, de l’objectivité, du concret, du palpable, du vérifiable, de la productivité, du profit…, qu’il y a peut-être d’autres choses et d’autres valeurs qui pourraient et devraient aussi nous intéresser ; qu’il est possible de regarder ailleurs, plus haut; qu’il existe aussi des hauteurs (et des profondeurs) qui nous sont accessibles; qu’il existe aussi des mondes qui sont invisibles et pourtant réels ; qu’il est possible de regarder au-delà des apparences, au-delà ce que nous voyons habituellement avec nos yeux de myopes qui ne voient presque plus rien.

Ce récit est là pour nous dire qu’il est possible de regarder le monde plus à fond, et d’arriver à entrevoir le cœur des choses et des personnes, ce centre où est située leur véritable identité et la Source ultime de toutes les virtualités qui les accomplissent. Ce regard pénétrant est vraiment nécessaire pour nous, les humains, si nous voulons que se révèle à nous quelque chose du mystère divin qui est présent partout, qui pénètre notre Univers et qui porte toute chose par la force de son attraction et de son amour.

Sans une ouverture du cœur et de l’esprit sur cette dimension mystérieuse, profonde, sacrée et spirituelle de la Réalité; sans une prise de conscience des forces divines qui la traversent et qui l’habitent, les humains risquent de s’établir, d’un côté, dans une attitude de domination, de confrontation et d’exploitation insensible, arrogante et égoïste du monde et de la nature et, de l’autre côté, dans la banalisation, l’insignifiance et même la déshumanisation de leur existence.

Si nous possédons l’esprit de Jésus, nous devenons capables de comprendre que tout a un sens; que le silence possède une Parole; que l’obscurité est traversée par une lumière et que les profondeurs aussi doivent être atteintes pour gagner les hauteurs et ainsi rencontrer le mystère de la présence de Dieu.

La foi que Jésus nous a laissée en la présence de l’esprit divin dans notre monde, est le seul moyen que nous avons d’échapper à la désespérance et pour nous convaincre que nous n’avons pas le droit de baisser les bras, mais que, tous ensemble, nous avons la possibilité d’affronter et de lutter contre les forces de l’égoïsme et du mal et de bâtir un monde plus juste, plus fraternel, plus humain et plus beau.

 Ce conte symbolique de l’Ascension qui introduit Jésus, l’homme moulé par l’Esprit de l’Amour, dans les hauteurs profondes de notre Univers, imprégné et animé par la présence de l’Esprit de Dieu, n’est rien d’autre qu’une parabole qui cherche à faire comprendre que la flamme de l’Amour brille constamment dans les profondeurs de notre monde, même au cœur de nos nuits les plus noires, qu’elle ne demande qu'à nous éclairer et à nous guider vers l’accomplissement de notre être et la réussite de notre bonheur.



Bruno Mori - Montréal, mai 2108






[i] Le récit de l’Ascension originairement se trouvait seulement dans les écrits de Luc. Matthieu et Jean n’en parlent pas. Dans Marc, la courte allusion à l’Ascension de Jésus a été placée dans le dernier chapitre (16e) de son évangile . Ce chapitre est une appendice ajoutée postérieurement (au début du IIe siècle) par un auteur inconnu qui a voulu résumer maladroitement certains événements de la fin de la vie de Jésus racontés par Mathieu et Luc et qui manquaient dans l’évangile originaire de Marc.


RIMANERE SEMPRE NELL’AMORE



 Quinta domenica di pasqua B - 2018 – Gv.15,1-8

            Il brano di vangelo che abbiamo letto è estratto da un lungo discorso (chiamato il discorso d’addio o il testamento spirituale di Gesù ) che l’evangelista Giovanni mette sulle labbra di Gesù. Questo discorso, come d’altronde tutto il vangelo, è stato costruito a partire da ricordi intorno alla persona di Gesù di Nazaret che circolavano in seno alle comunita cristiane del primo secolo: ricordi di attitudini, di comportamenti, di parole, d’insegnamenti, di miracoli del Maestro... Questo bellissimo e commovente discorso d’addio di Gesù pieno di lirismo, di commozione e di tenerezza non è dunque mai stato pronunciato da Gesù nella forma in cui è stato redatto in questo vangelo. Ma riflette senz’altro pensieri e sentimenti autentici del Maestro.

            Nel suo insieme, il vangelo di Giovanni è infatti una riflessione teologica tardiva; una specie di meditazione spirituale e mistica, rivolte ai cristiani della fine del primo secolo, per suscitare interesse, attrazzione, slanci di simpatia e d’affetto verso la persona di Gesù . Questo vangelo voleva che i cristiani ed non-cristiani di quel tempo capissero il senso, il valore e la ricchezza dell’insegnamento di questo uomo straordinartio e pieno di Dio ; l’importanza di lasciarsi soggiogare dalla novità e dalla pertinenza della sua parola (una autentica buona novella per tutti !).

            L’Evangelista situa questo discorso di Gesù nel contesto di una cena ( la cena pasquale); sullo sfondo dunque di una specie di liturgia “eucaristica”, allo scopo di fare capire ai cristiani del suo tempo che anche loro, ogni volta che si riuniscono per celebrare l’eucarestia (o la Cena del Signore), sono in comunione con Gesù ; fanno “corpo” con lui; mangiano di lui, perchè ricevono e ascoltano le sue parole, riflettono sul loro significato per integrarle poi nella trama nella loro esistenza quotidiana.

            Nel brano odierno, il tema proposto alla riflessione dei discepoli, riguarda la necessità di rimanere sempre in unione di mente, di cuore, di pensiero e di sentimenti con il Maestro. Perchè se i cristiani non se lo tengono stretto; se si dimenticano di lui ; se lo trascurano , se lo abandonano, se non lo sentono presente e attivo nella loro vita; se non continuano a nutrirsi della sua Parola e a dissetarsi alla sorgente del suo Spirito, se non cercano di vivere come lui ha vissuto e ad agire come lui ha agito, la sua opera non avrà seguito; ìl movimento di rinnovo spirituale e umano che egli ha messo in marcia si fermerà ; la fiamma del suo Spirito si spegnerà; la forza e l’impatto del suo esempio, del suo stile di vita e dei valori che lo hanno fatto vivere si perderanno e forse scomparirammo per sempre... e Gesù sarà morto invano. L’umanità intera se ne troverà impoverita e l’Universo rallenterà il suo slancio evolutivo verso una più grande perfezione. Senza il suo spirito; senza il suo insegnamento; senza i valori che ci ha lasciato; senza il Dio che ci ha rivelato, l’umanità sarebbe privata del tesoro più prezioso e del dono più grande che essa abbia mai ricevuto.

Questo testo del vangelo ci avverte dunque che senza la linfa che arriva a noi da questo portento d’umanità, rischiamo d’appassire, di vivere una vita vuota, sterile, meschina, misera, senza profondità, senza altezza, senza senso e senza grandezza, povera d’umanità. Saremo come tralci di vite che si sono avvizziti e inariditi, perchè si sono staccati dal ceppo. Non produrremo che grappoli d’uva rachitici e striminziti che non daranno mai vino di qualità.
           
            Ecco perchè il vangelo di oggi esorta i cristiani a rimanere attaccati a Gesù, come i tralci devono rimanere attaccati alla vigna per ricevere la linfa di cui hanno bisogno per produrre il buon vino della festa, della gioia , della convivialità, della comunione e della fraternità.

Questo testo però vuole anche esortare i cristiani a  tener presente una verità che per loro é fondamentale: cioè che Gesù è stato un uomo che, forse meglio e più di qualsiasi altro, ha vissuto in un contatto intimo con Dio, ha riflettuto su Dio, ha capito Dio, ha parlato di Dio. Sicchè, è grazie a quanto Gesù ci ha rivelato su Dio e di Dio , che oggi, noi cristiani, sappiamo che Dio è completamte diverso da come le religioni antiche e la notra religione ce lo hanno descritto.è grazie a Gesù che oggi sappiamo che Dio è una Misteriosa Energia fatta di Amore, soltanto d’Amore e nient’altro che d’Amore. Un Amore Originario e abissale che ha messo nell’esistenza il cosmo intero, che permea, crea e fa evolvere tutto il creato, di cui noi siamo un elemento particolarmete importate e perfezionato .
            Nel vangelo di Giovanni Gesù è presentato come colui ci ha rivelato che questa misteriosa Energia Amorosa Originaria che noi chiamiamo “Dio”, è presente in modo particolarmene intenso e attivo in ogni essere umano. Di modo che il cuore e il nucleo centrale di tutta la predicazione di Gesù è l’affermazione e la rivelazione che ogni essere umano è il luogo privegiato della presnza del Dio-Amore o dell’Amore di Dio sulla terra; che l’essere umano è una espressione e una manifestazione particolarmente riuscita e compiuta della presenza di Dio e del suo Amore nel nostro mondo. É perchè Gesù era convinto di questa particolare presenza del Dio-Amore nel cuore dell’uomo, che evangelista Giovanni, riflettendo il pensiero di Gesù, rivolgendosi ai cristiani del suo tempo poteva scrivere : “ Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore. Chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. Amiamoci gli uni gli altri, perchè l’amore viene da Dio e chiunque ama è stato generato da Dio  e conosce Dio e vive in Dio (1Gv. 4-18).

            Il testo del vangelo di oggi ribadisce questa convinzione di Gesù , dicendoci che soltanto rimanendo in comunione con lo spirito di Gesù , potremo attivare in noi l’amore che Dio ha infuso nei nostri cuori. Grazie all’amore ricevuto da Dio e che ora, come discepoli di Gesù, orienta le nostre scelte e le nostre azioni, saremo in grado di portare il nostro contributo alla costruzione di un mondo migliore, di quel “Regno di Dio”costruito sui principi dell’amore, del servizio e della fraternità , che è sempre stato il sogno più caro di Gesù di Nazaret.

            Gesù sarà sempre ricordato, ammirato e amato per essere stato un capolavoro d’umanità e un campione dell’amore. Egli è stato per tutti un esemplare quasi perfetto di bontà, di disponibilità, d’ascolto, d’empatia, d’accoglienza, di pazienza, di miseriicordia, di perdono. Egli ha guarito, confortato, incoraggiato, difeso; ha infuso speranza, slancio e fede nella vita. Ha ridato fiducia e voglia di vivere a chi era disperato, depresso, deluso, sconfortato, ammalato o perseguitato, escluso, incolpato, condannato... Egli costituirà sempre per ognuno di noi una sorgente d’ispirazione e uno specchio nel quale dovremo continuamente mirarci per vedere e sapere se la nostra personalità si configura e si presenta con i tratti di un essere autenticamente umano.

            Solo vivendo con amore e nell’amore possiamo dire, non solo d’essere uniti a
Gesù, ma anche d’essere uniti a Dio, al cui Amore diamo corpo e consistenza in questo mondo. Attraverso di noi e nel nostro amore, Dio continua l’opera della sua creazione, facendola evolvere verso una perfezione sempre maggiore.
           
            Nell’amore diventiamo così collaboratori di Dio. Grazie a Gesù, noi umani adesso sappiamo d’essere gli strumenti coscienti dell’attività amorosa e creatrice di Dio nell’Universo.

Mori Bruno

«L’amour est de Dieu et quiconque aime est né de Dieu et connait Dieu» (1Jn 4,7)



(6e dim. paques, B –Jn 15,9-17)

Ce texte que nous venons de lire est tiré d’un long discours d’adieu, appelé aussi «testament spirituel» de Jésus que l’évangile de Jean met sur ses lèvres juste avant sa mort. Le thème central de ce monologue est constitué par l'amour qui unit Jésus à son Dieu ou Père et qui doit unir aussi les disciples entre eux et avec leur Maître.  

Dans l’évangile de Jean, Jésus est présenté comme un homme qui a vécu une relation particulièrement intime avec Dieu ; qui a fait une expérience absolument unique de Dieu que l’évangéliste qualifie «d’expérience amoureuse» faite de communion, d’intimité et de profonde tendresse. Le Jésus de Jean est l'homme épris de Dieu, qui a centré et orienté toute son existence sur Dieu ; qui a su s’imprégner à tel point de son Esprit, qu’il a pu se sentir en droit d’affirmer que lui et Dieu ne faisaient qu’un seul être ; qu’il ne faisait toujours que ce que Dieu voulait et lui inspirait. Il disait aussi que ceux qui écoutaient ses paroles et voyaient ses œuvres, entendaient les paroles de Dieu et voyaient les œuvres de Dieu.

Jésus parlait donc de Dieu du plein de son cœur, parce qu'il vivait dans sa communion et dans sa présence et aussi parce qu'il avait été saisi et fasciné par son mystère. Dans l’intensité de son expérience, il avait découvert que son Dieu est le fondement de tout : source d’amour, d’être et de vie ; qu’il est don, pardon, père, mère, frère, ami. Il avait découvert que c’était cet Amour-Dieu qui le faisait vivre; qui était l'âme de son Esprit, de sorte que cette expérience de Dieu l’avait convaincu que seulement en entrant en contact avec cette Réalité Amoureuse Ultime, l'homme pouvait trouver le sens de son existence, vivre selon sa nature, réaliser pleinement son humanité et apprivoiser ses pulsions personnelles , ainsi que le monde qui l’entoure.

Cette expérience a permis à Jésus de parvenir à une connaissance tellement profonde de Dieu, qu’il a pu nous dire quelque chose de totalement nouveau et inédit sur Dieu. Il nous a appris que ce Mystère Ultime que nous appelons Dieu est une Force Infinie d’Amour qui est présente et à l’œuvre partout dans l’Univers ; elle pénètre tout ce qui existe, comme la sève, l’âme, l’esprit, la finalité qui anime, vivifie, soutient et dirige l’Univers entier vers une évolution, une complexification et un perfectionnement toujours plus grands.

Jésus a insisté sur le fait que cette Énergie Amoureuse Originelle est spécialement active, forte et perfectionnée dans l’être humain, qui devient alors la conscience que le cosmos possède de lui-même, ainsi que le lieu d’une présence privilégiée des dynamiques de l’amour, des qualités de l’amour et des possibilités de l’amour dans notre monde.

Jésus nous révèle ainsi que dans cet Univers, l’amour est tout ; que sans la force de cet amour qui «attire» et unit toute chose, rien ne peut ni naître, ni subsister, ni se développer. Son enseignement nous a fait comprendre que dans notre monde, l’amour est dieu et que dieu est l’amour. Que c’est uniquement l’amour que nous devons chercher, cultiver, désirer, pratiquer, rependre, si nous voulons nous réaliser pleinement selon notre nature d’êtres « conscients et intelligents ». En effet, l’Esprit de Dieu, qui agit au travers de l’évolution cosmique, a élaboré des « humains » dans le seul but de produire de créatures spécialement conçues pour aimer. D’après Jésus, c’est seulement devant l’amour que nous devons nous agenouiller, si nous voulons adorer Dieu et rendre hommage à nos frères.
Jésus nous enseigne qu’il n’y a pas d’autres trésors que nous devons chercher, ni d’autres richesses que nous devons convoiter, ni d’autre grandeur à laquelle nous devons aspirer en dehors de l’amour. Si nous devenons des êtres capables d’aimer avec la qualité et la force d’amour qui est en Dieu, qui s’est manifesté en Jésus et qu’il a été déposée en chacun de nous, nous deviendrons des chefs d’œuvre d’humanité. Nous deviendrons l’écho, le reflet et les instruments de l’Amour Originel par lequel se construit la qualité et la bonté et la grandeur de notre monde et de notre société humaine.

Si nous sommes familiers avec les écrits du NT attribué à Jean, nous savons que ces textes contiennent une foule d’expressions que cet écrivain met sur la bouche de Jésus et qui, d’un côté, affirment la nature amoureuse de Dieu et qui, de l’autre, expriment la nécessité d’activer et de rependre au cours de notre existence cette immense Énergie Amoureuse qui a été déposée dans nos cœurs : « Nous avons connu et cru à l’amour que Dieu possède et qu’il a versé en nous. Dieu est Amour et qui demeure dans l’amour demeure en Dieu et Dieu demeure en lui (1Jn.4, 16). L’amour vient de Dieu et quiconque aime vient de Dieu et connaît Dieu (4,7). Si Dieu nous a aimé ainsi, nous devons nous aussi nous aimer les uns les autres (4,11). Nous nous aimons parce que Dieu nous a aimé le premier et qu’il nous remplit de son esprit d’amour (4,19). Si quelqu’un dit d’aimer Dieu et qu’il n’aime pas son frère est un menteur. Celui qui n’aime pas s son frère qu’il voit, ne peut pas aimer Dieu qu’il ne voit pas (4, 20)».

Ainsi le Jésus de Jean nous dit que son Dieu ne se rencontre pas dans les temples, les églises, les rites, les cultes, les sacrifices, les pratiques et les observances des religions, mais seulement dans l’amour que nous développons et que nous donnons à nos frères. Jésus nous révèle que nous rencontrons Dieu seulement lorsque nous rencontrons nos frères et que nous sommes capables d’établir avec eux des relations basées sur un amour qui se décline comme accueil, bienveillance, communion, respect, attention, écoute, compassion, partage….

Jésus a su faire cette expérience d’amour et de don de soi et c’est pour cela qu’il est apparu à tous comme la manifestation la plus extraordinaire de la présence divine dans notre monde et c’est pour cela qu’il nous apparaît à nous aussi aujourd’hui comme un des modèles le plus accompli d’humanité. 
Alors en tant que chrétiens nous devons avoir toujours présent à l’esprit cette vérité fondamentale : le christianisme auquel nous appartenons, est un mouvement spirituel (et non pas une religion !) issu de Jésus de Nazareth qui appelle les hommes non pas tant à se diviniser, mais à s’humaniser, sur l’exemple et la parole de leur Maitre et Seigneur.

Bruno Mori - 2018